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Vita di don Giovanni Rossi

di Roberto Magni

4. Il fallimento economico

 

La crisi scoppiò nella primavera 1930, dopo l'acquisto di un palazzo per il pen­sionato universitario a Parigi. L'iniziati­va aveva riscosso ampi consensi e larga solidarietà, ma una violenta e settaria campagna della stampa anticlericale e anti-italiana fece venir meno all'improv­viso gli aiuti promessi. Le ripercussioni in Italia furono drammatiche e il 10 giu­gno 1930 quando ormai sembrava vici­na una schiarita, si ebbe il fallimento della società anonima in cui convergeva la vita economica. Don Giovanni, quale capo, ne assunse ogni responsabilità e ne subì tutta l'umiliazione, con forza eroica e coraggio visse momenti quanto mai dolorosi di solitudine e abbandono. Alla fine del 1931 fu poi costretto a la­sciare la carica di superiore della Com­pagnia e la direzione delle sue attività. Il Signore, quando chiude una finestra apre sempre una porta, era solito ripete­re e cosi avvenne proprio mentre egli si trovava ormai a una svolta della sua vita.

Nel Natale del 1925 la Compagnia ave­va compiuto dei tentativi missionari fra gli emigranti italiani a St. Etienne e Gre­noble in Francia e a Charleroi nel Bel­gio; e nella Pasqua del 1926 li aveva ri­petuti fra gli italiani delle banlieux di Parigi. La felice esperienza continuò con nuovi sviluppi negli anni successivi con le Missioni tenute a Salerno, Taran­to, Reggio Calabria, Siracusa, Pisa e proseguì poi con maggiore intensità e frequenza.

Nell'autunno 1932 Don Giovanni, dall'isola di Pantelleria, prese a dirigere il movimento missionario che per tanti anni lo avrebbe portato attraverso tutte le regioni italiane, dai piccoli centri alle grandi città. Seppe intuire subito il valore e l'importanza della strada che la Provvidenza gli apriva per una nuova forma di apostolato più direttamente ri­volto al popolo, in piena rispondenza alle esigenze - già prima intraviste, ora ancora più evidenti - prospettate dai mutare dei tempi e delle situazioni so­ciali del paese.

 

L'azione dei laici, inserita nella tradizio­nale predicazione missionaria dei sacer­doti, cominciò a trovare uno sviluppo e una valorizzazione organica e coordina­ta. Il campo si estese dalla chiesa verso le piazze, i crocicchi delle strade, i luo­ghi di studio e di lavoro, i locali pubblici. La predicazione venne sempre più in­centrata in Gesù Cristo, la sua persona, la sua dottrina, la sua grazia, e animata da un grande senso di speranza e di ot­timismo, per esaltare la bellezza della virtù più che detestare il vizio; cantare l'infinita misericordia di Dio più che minacciarne la giustizia e il castigo.

Don Giovanni giunse in tal modo a, formare gradualmente quello stile e quel metodo che avrebbero dato grande ri­sonanza alle "Missioni Paoline".

Il lavoro missionario fece poi maturare l'idea dello "Studium Christi", pensato come un centro dove l'azione rapida e fugace della missione avrebbe trovato il suo approfondimento attraverso lo stu­dio, la ricerca, la documentazione, i cor­si di cultura cristiana.

Le difficoltà e gli ostacoli, non solo all'esterno, furono frequenti e dolorosi: l'apertura alle nuove visioni di aposto­lato non era sempre ben compresa, alle volte interpretata come incoerenza e rinnegamento del passato.

 

 

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