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Tutto cambia al mondo.
Noi assistiamo a trasformazioni di anime, di popoli e di religioni impensabili.
Bisogna che noi prepariamo più che opere, ponti;
più che prediche, dialoghi;
più che ricordi, nuove visioni di un avvenire di libertà, di pace, di giustizia.
don Giovanni Rossi
fondatore della Pro Civitate Christiana
Una figura che stimolava a prendersi cura degli altri
Liliana Segre
Wed Oct 20 2021 22:00:00 GMT+0000 (Coordinated Universal Time)
Ho un ricordo indelebile del cardinale Carlo Maria Martini. Le occasioni di incontro diretto non furono molte, ma sempre molto significative e intense. E comunque tutta la sua opera, direi la sua vita, predisponeva all’attenzione e alla considerazione.
Ho un ricordo indelebile del cardinale Carlo Maria Martini. Le occasioni di incontro diretto non furono molte, ma sempre molto significative e intense. E comunque tutta la sua opera, direi la sua vita, predisponeva all’attenzione e alla considerazione. In quelle occasioni trovai sempre conferma alla sensazione che la sua missione e la sua stessa figura fossero di esempio e insegnamento e stimolassero chiunque a prendersi cura del Mondo e dell’Altro (...).
Quando nel 2018 il presidente Sergio Mattarella, in modo del tutto inaspettato, mi ha nominata senatrice a vita della Repubblica ho preso subito molto sul serio la mia nuova responsabilità. Si trattava infatti di una straordinaria opportunità per portare avanti e anzi rafforzare un discorso intrapreso già da anni. Un discorso di informazione e testimonianza soprattutto a ragazze e ragazzi, nelle scuole, nelle università, in Italia e all’estero. Perché tanti sono ancora oggi i problemi che spingono all’impegno e richiedono attenzione e iniziativa. Per esempio una cosa che non manca mai di colpirmi molto di questi tempi sono i discorsi dell’odio, che invadono lo spazio pubblico e quello dei social. Mi colpiscono particolarmente perché io l’ho vissuto l’odio, so che vuol dire. Ho vissuto un tempo in cui io dovevo essere odiata, già da quando bambina fui espulsa dalla scuola (...).
Il cardinale Martini mi disse e ha anche scritto di esser stato colpito dalle parole che spesso ripeto ai ragazzi: «Siamo fortissimi!», «Non dite mai non ce la faccio più!». In verità ho sempre inteso dire che proprio la forza che tenne in vita noi sopravvissuti della Shoah negli ultimi mesi della reclusione, ma poi anche negli anni a seguire, è la forza che ogni essere umano ha in sé. Solo in parte forza fisica, perché noi eravamo sfiniti e a un passo dalla morte per denutrizione e spossamento, ma forza morale, religiosa anche, soprattutto voglia di vivere, attaccamento alla vita, speranza di salvezza e ritorno. Questa forza interiore ognuno di noi deve sempre cercare di tirar fuori, mai disperando e mai abbandonandosi.
Proprio attingendo a queste risorse nascoste riusciremo non solo ad affrontare la vita, ma anche a essere persone migliori, in un mondo migliore e più giusto. Quando oggi, mentre un miliardo e mezzo di persone muore di fame, noi sprechiamo risorse e cibo, lasciamo scadere in frigorifero una cosa che ci piace meno di quell’altra, non pensiamo a questo mondo di affamati che guarda, e magari vede questo nostro scempio, questa nostra distruzione di ricchezza. Ebbene quando questo accade, quando accade questa ingiustizia, questa crudeltà, questa indifferenza allora significa proprio che abbiamo ancora molto da imparare e da fare.
A questo amore per la vita io penso, a questa sensibilità. Non un valore astratto, ma una scelta per la sopravvivenza di milioni di persone e anzi dell’intero nostro pianeta. Su questo il cardinale Martini era particolarmente attento ed era un altro elemento di grande condivisione fra di noi. Perché oggi invece predominano altri modelli e altri disvalori. Mi hanno sempre colpito queste serie televisive a puntate che durano venticinque anni, in cui ci sono solo sempre vite di consumo, dove il messaggio che passa è sempre lo stesso: edonismo, consumismo estremo, esteriorità. E invece nostro dovere è testimoniare che c’è dell’altro, che la vita è altro, che il nostro ruolo deve essere quello non di osservatori passivi e complici, ma di soggetti quanto più possibile consapevoli e attivi.
È il senso di un altro episodio della mia vita che colpì molto il cardinale Martini e che voglio qui richiamare. Era al termine della Marcia della Morte. (...) Vidi un’ombra che camminava vicino a me, mi sfiorava. Lui in verità neanche mi vedeva, ero io però che vedevo lui. Era il comandante dell’ultimo campo, era un SS, un uomo che fino a poche ore prima era stato terribile con le prigioniere: calci, nerbate e disprezzo totale di una razza inferiore che per caso era ancora viva a disturbare. Lui mi toccava praticamente, era di fianco a me, mandò via il cane, si mise in borghese,
buttò via l’orgogliosa divisa delle SS e buttò via infine la pistola. La gettò ai miei piedi. Be’, io non ero più quella bambina che era scesa dal treno, io ero vissuta per lunghi mesi nell’odio e nel sogno della vendetta e in quel momento pensai, dopo tutta la violenza che avevo visto: «Adesso lui è qui in mio potere, raccolgo la pistola e gli sparo». Mi sembrava che il desiderio di ucciderlo fosse il giusto e degno finale di quel male altrui che avevo tanto sofferto fino a quel momento. Fu però un attimo, una tentazione fortissima come non l’ho mai più avuta nella mia vita. In quell’attimo realizzai anche che io non ero come lui, io non ero come il mio assassino. Io avevo sempre scelto la vita e chi sceglie la vita non può mai togliere la vita a nessuno per nessun motivo. Non ho raccolto quella pistola per fortuna e da quel momento sono stata quella donna libera e quella donna di pace che sono anche adesso.
Questo episodio colpisce sempre il pubblico che mi ascolta e colpì anche il cardinale Martini. Ne colse il valore autentico, dirimente fra noi e loro, fra la nostra idea di civiltà e di umanità e la loro che è esattamente contraria, disumana e nichilista. Voglio concludere sottolineando il senso di questo idem sentire di fondo con il cardinale Martini, di cui ho sempre ammirato la profondità della cultura e il senso di umanità, l’attenzione all’altro, alle sue ragioni, ai suoi bisogni. Ma ci tengo a condividere anche un altro mio ricordo di lui: in uno dei nostri incontri gli dissi che mi sentivo spesso inadeguata e confusa; mi guardò e disse: «Non tema nulla, Lei è Lei!». Ho sempre interpretato queste parole più che come un complimento personale, come un invito a tutte le persone a essere se stesse, a dare un senso alla propria vita, ad attingere alle risorse che ciascuno di noi serba dentro di sé e che deve coltivare, ma anche usare nella vita di tutti i giorni, per renderla migliore e degna di essere vissuta. Anche su questo eravamo d’accordo. Che la nostra sym-pathia possa essere di esempio e di stimolo.