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Tutto cambia al mondo.
Noi assistiamo a trasformazioni di anime, di popoli e di religioni impensabili.
Bisogna che noi prepariamo più che opere, ponti;
più che prediche, dialoghi;
più che ricordi, nuove visioni di un avvenire di libertà, di pace, di giustizia.
don Giovanni Rossi
fondatore della Pro Civitate Christiana
Non è un'opinione: Cambiamenti climatici e stili di vita
Andrea Lavazza
Sat Jul 17 2021 22:00:00 GMT+0000 (Coordinated Universal Time)
Parlare del tempo è sempre stato un modo serio ma non impegnativo di avviare una conversazione tra estranei. Oggi, almeno in alcuni Paesi, non è più così.
Parlare del tempo è sempre stato un modo serio ma non impegnativo di avviare una conversazione tra estranei. Oggi, almeno in alcuni Paesi, non è più così. Nell’era degli 'iperoggetti', scrive il filosofo Timothy Morton, l’ombra del riscaldamento globale incombe su qualunque scambio di opinioni in materia e lo rende divisivo. Un iperoggetto è un fenomeno o un’entità di cui non abbiamo davvero consapevolezza perché supera le nostre capacità di inquadrarlo dal punto di vista dello spazio e del tempo. È così presente ma inafferrabile che finiamo con l’assumere un atteggiamento ipocrita di trascuratezza. Sorge così il negazionismo ambientale. Ma diventa anche chiaro perché si tratta di un problema particolarmente intrattabile. Non vediamo il mutamento del clima, ma soltanto alcune manifestazioni meteorologiche localizzate.
Siamo noi i motori del degrado e nello stesso tempo veniamo chiamati a porvi rimedio. I danni di un’alluvione, come quella catastrofica che ha colpito l’Europa centrosettentrionale in questi giorni, sono istantanei e devastanti. Tuttavia, ogni intervento – in entrambe le direzioni – contribuisce poco e ha effetti a lungo termine. In altre parole, se spegniamo oggi il nostro condizionatore e ci facciamo aria con un ventaglio o se decidiamo di usare l’automobile invece di andare a piedi, la conseguenza sull’accumulo di anidride carbonica nell’atmosfera sarà così ridotta e comunque a noi sconosciuta che qualsiasi scelta individuale sarà inevitabilmente guidata dall’interesse tangibile di breve periodo. Mentre è un fatto che grandi città come Houston sono sorte soltanto perché esistono i condizionatori: farne a meno vorrebbe dire, paradossalmente, creare profughi ambientali in una zona ricchissima del mondo. E la mobilità individuale permessa dai motori a scoppio è senza dubbio una conquista cui è difficile pensare di rinunciare. E non è solo correre in autostrada: quante vite si sono salvate o si sono trasformate con trasporti veloci e sempre disponibili? D’altra parte, il riscaldamento globale oggi uccide senza riguardo di buoni o cattivi, di ricchi o poveri. Persino nella efficientissima Germania, dove – si immagina – la speculazione edilizia, l’incuria o la scarsa cura dei corsi d’acqua non sono di casa.
L’idea della sostenibilità ambientale è piuttosto recente: venne proposta in modo organico in un rapporto Onu del 1987. Si tratta di rendere lo sviluppo adatto ad assicurare i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri. In teoria, una soluzione ottimale che non ricorre a visioni passatiste o alla rinuncia del progresso, bensì spinge per promuovere una tecnologia più efficace e meno d’impatto e stili di consumo compatibili con le risorse limitate, senza essere penalizzanti per l’individuo.
Tutto ciò presuppone un’ampliata sensibilità morale e un’assunzione di responsabilità sulle proprie azioni in una visione integrata essere umano-natura o, meglio, Creato, come non si stanca di invitarci a fare papa Francesco, autore di una tanto convincente e lodata quanto poco seguita enciclica su questo tema chiave del nostro tempo, la Laudato si’. Ecco perché, nella difficoltà di armonizzare spontaneamente i comportamenti, diventano decisive le norme collettive vincolanti. Che non possono essere più solamente a livello di singolo Stato, perché il clima non ha confini.
Il Green Deal presentato in settimana dalla Commissione europea sembra andare efficacemente in questa direzione. È un progetto drastico e oneroso per industrie e cittadini. Chiede di bandire le auto non elettriche dal 2035 (una rivoluzione enorme dietro l’angolo). Obbliga a pagare in modo salato le emissioni. Impone oneri alle importazioni che gravano sul clima. Ma ormai metterci al riparo ha un prezzo alto e un tempo lungo. Si potrà migliorare il piano, ma sarebbe criminale azzopparlo nel nome di miopi interessi di parte. Qualcuno dirà che è la Cina il primo responsabile e che non possiamo perdere eccellenze italiane, dall’auto alle costruzioni all’energia. Tutto vero, ma così si continua a guardare il dito e non la Luna. È qualcosa di cui dobbiamo prendere coscienza e discutere tutti. Deliberare per agire, subito.