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Tutto cambia al mondo.
Noi assistiamo a trasformazioni di anime, di popoli e di religioni impensabili.
Bisogna che noi prepariamo più che opere, ponti;
più che prediche, dialoghi;
più che ricordi, nuove visioni di un avvenire di libertà, di pace, di giustizia.
don Giovanni Rossi
fondatore della Pro Civitate Christiana
Il vangelo non è stato chiuso
Francesco Cosentino
Thu Sep 16 2021 22:00:00 GMT+0000 (Coordinated Universal Time)
Per un viaggio di Papa Francesco, come quello appena terminato a Budapest e in Slovacchia, sembra che non ci siano parole adeguate. Lo stupore della fede che si risveglia, la gioia umile di popoli e persone diverse, il volto della Chiesa che ne emerge...[...]
Per un viaggio di Papa Francesco, come quello appena terminato a Budapest e in Slovacchia, sembra che non ci siano parole adeguate. Lo stupore della fede che si risveglia, la gioia umile di popoli e persone diverse, il volto della Chiesa che ne emerge e, soprattutto, la parola sempre sobria, calda e profetica del Papa, si fa fatica a descriverle con un pugno di parole, fossero anche le più belle del vocabolario. Ciò che rimane, come affermava Italo Calvino, non è la bellezza del luogo o qualche altra immagine dei giorni vissuti in quel posto, ma la risposta che quel viaggio ha dato alla tua domanda.
Ho avuto la gioia di seguire Papa Francesco in questo pellegrinaggio europeo e, tra i tanti momenti intensi e perfino commoventi, credo che rimanga una breve affermazione aggiunta a braccio nel discorso ai vescovi della Slovacchia. Il Papa parlava di Cirillo e Metodio, che per evangelizzare quelle terre sono stati creativi, si sono immersi nella cultura dei popoli abitandola dentro, hanno in qualche modo inventato un “alfabeto” per tradurre la gioia del Vangelo e della dottrina cristiana. Oggi, in questa Europa smarrita e stanca, che il cristianesimo fa fatica a intercettare, occorre un nuovo alfabeto per dire Dio in modo nuovo, una creatività pastorale e una predicazione audace che possa nuovamente risvegliare la sete di Dio. Non serve, cioè — ammoniva il Papa — lamentarsi o trincerarsi in un cristianesimo difensivo che giudica il mondo, ma serve invece la creatività. In quel momento, Papa Francesco ha aggiunto a braccio: «Stiamo attenti! Ancora il Vangelo non è stato chiuso, è aperto».
Credo che, come un piccolo seme silenzioso e nascosto nel terreno, questa affermazione possa riassumere in modo vibrante il messaggio di Papa Francesco al cuore dell’Europa e al cristianesimo europeo. La perdita del senso di Dio, la crescente apatia spirituale e la dimenticanza di Dio alimentate dall’orizzonte del secolarismo e del consumismo, la crisi della fede che imperversa nel vecchio continente e sfida la Chiesa, non sono un destino da subire ma una sfida da accogliere.
La sfida non ha il suo punto di forza nell’organizzazione umana, ma anzitutto in un ritrovato senso della fede, anche da parte della Chiesa. A volte si ha come l’impressione che la crisi del cristianesimo e la stanchezza dei processi di evangelizzazione abbiano segnato lo spirito degli operatori pastorali, preti e laici, e abbiano ferito l’entusiasmo dell’annuncio. Il “pessimismo sterile”, già accennato in Evangelii gaudium, non aiuta il processo di cambiamento: quando non irrigidisce, quanto meno spegne la gioia della testimonianza cristiana.
Ma il cristianesimo non è una dottrina teorica o un sistema di simboli e riti cristallizzati una volta per sempre. Il cristianesimo è un evento e, in quanto tale, sfugge continuamente sia alle rappresentazioni che gli stessi cristiani ne danno e sia alla cultura e al contesto in cui si incarna. La Parola viva che è Cristo non può essere imprigionata, non rimane mai impigliata nelle forme e nella cultura che la esprimono, non è mai riducibile a coloro che la annunciano e ai simboli che la esprimono. Si tratta di una Parola vivente, di un evento sempre nuovo e ancora inaudito, di un’esperienza che è sempre ancora da vivere. Ne ha scritto recentemente il teologo domenicano Dominique Collin nel suo bel testo Il cristianesimo non esiste ancora: perché in realtà, siamo sempre tutti in cammino per diventare cristiani e l’esperienza cristiana del Vangelo ci sta sempre davanti come realtà che ancora deve compiersi, sia nella nostra vita che nella Chiesa. E, perciò, in ogni epoca, anche nella nostra epoca scristianizzata, la diagnosi non coincide mai con la prospettiva: esiste sempre la possibilità di una nuova e originaria esperienza cristiana. E la crisi, allora, non è un ostacolo, ma probabilmente è il modo attraverso cui Dio parla alle Chiese, perché inizi un processo di rinnovamento e si ritorni alla creatività dell’annuncio.
Papa Francesco ha indicato così l’unica strada percorribile nella crisi del cristianesimo europeo: il Vangelo non è stato chiuso, è ancora aperto. Tocca a noi non sterilizzarne la potenza dentro l’involucro di una fede vecchia, stanca e abitudinaria. Tocca a noi cambiare e trovare vie e strumenti creativi per l’annuncio del Vangelo. E tocca a noi vigilare, perché, come scriveva Henri de Lubac, l’abitudine ha una potenza distruttiva ed è il peggior nemico della fede.