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“Il governo non irrida le proteste è violento chi ignora il pianeta”

intervista a Paolo Cognetti

Wed Jan 04 2023 11:00:00 GMT+0000 (Coordinated Universal Time)

"Seguo il movimento ambientalista da sempre, e quello dei Fridays for future da quando è nato: sono entrambi inascoltati, e il più delle volte irrisi, sebbene l’emergenza climatica sia un problema riconosciuto e acclarato in tutto il mondo"

intervista a Paolo Cognetti, a cura di Simonetta Sciandivasci

Lo scrittore: “Ribellarsi è un fatto di democrazia. Gli ambientalisti fanno gesti teatrali, non attentati”.

Ieri, il vicepremier Matteo Salvini esultava così su Twitter: «Bene! Grazie a una modifica del codice penale introdotta dai decreti sicurezza bis, quando ero Ministro dell’Interno, i vandali che hanno imbrattato il Senato sono stati arrestati e rischiano una pena che va da uno a cinque anni di reclusione». Quelli che archivia come “vandali”, sono un gruppo di attivisti del movimento Ultima generazione, e il loro è stato un atto di protesta che non ha lasciato danni indelebili: hanno usato vernici lavabili.

L’opinione pubblica ha condannato pressoché unanimemente il gesto, ma si è spaccata sulla sua definizione: per alcuni è violenza, per altri idiozia. In entrambi i casi, dicunt, si nuoce alla causa. Ammesso che, di quella causa, importi davvero a qualcuno.

«Seguo il movimento ambientalista da sempre, e quello dei Fridays for future da quando è nato: sono entrambi inascoltati, e il più delle volte irrisi, sebbene l’emergenza climatica sia un problema riconosciuto e acclarato in tutto il mondo», dice alla Stampa Paolo Cognetti, scrittore (è al cinema il film tratto dal suo Le otto montagne, Einaudi, il romanzo con cui ha vinto il Premio Strega nel 2017), che vive in montagna, in un rifugio dove «non c’è più acqua dall’estate scorsa. Le sorgenti sono prosciugate, e così nell’acquedotto abbiamo l’acqua non potabile dei laghi. In questo momento, alle 19 del 3 gennaio, ci sono 7 gradi. Dovrebbero essere tra i -5 e i -10. Davanti a questo, aprendo il rubinetto e non potendo bere l’acqua, è più violenta una secchiata di vernice su un muro o l’indifferenza del potere?».

La sordità delle istituzioni giustifica l’aggressione come metodo di protesta?

«Sono di formazione anarchica, e mi interrogo da sempre sui modi della contestazione. Ultima generazione ha scelto la via non violenta: il loro è un gesto simbolico e, di più, teatrale, perché inscena un’offesa. I ragazzi lanciano contro la facciata di un palazzo delle vernice, così come l’uomo invade scriteriatamente la natura, con la differenza che questa invasione crea danni sempre più difficili da riparare, e quei ragazzi, invece, no».

Ieri il TG1 non ha mostrato le immagini dell’assalto al Senato per dimostrare che «questi gesti non sono ammissibili».

«Non riusciamo a vedere nella protesta un esercizio democratico: per noi la democrazia si esaurisce nell’urna. E invece è molto di più, è un sistema che prevede il diritto al dissenso e, per chi governa, il dovere di ascoltare quel dissenso e prendere in considerazione le voci come quelle di questi ragazzi».

Questo esercizio è sembrato si fosse estinto, poi che avesse preso piede sui social (le primavere arabe, la resistenza a Taiwan), invece ora sembra sia tornato importante il “gettare il corpo nella lotta” di cui parlava Pasolini.

«I movimenti di opinione sui social sono ininfluenti, soprattutto perché le persone che li agiscono non rischiano nulla, non mettono in prima persona qualcosa di sé. I ragazzi iraniani si giocano la vita, questi italiani si giocano forse qualche notte in galera e così dimostrano che sono disposti a perdere qualcosa in nome delle loro convinzioni».

Quando si combatte per una causa giusta, vale il principio del fine che giustifica i mezzi?

«Vale fintanto che non si fa del male a qualcuno. Fare un gavettone a un ministro non è terrorismo. Ogni cosa va misurata e vista per ciò che è».

Come si capisce che una causa è giusta?

«Il sentimento dell’ingiustizia nasce in maniera prepotente da dentro, rispetto alla tua storia, dei tuoi genitori e dei tuoi avi. Ne La Locomotiva, Guccini dice: “Forse una rabbia antica, generazioni senza nome urlarono vendetta, gli accecarono il cuore”. Che qualcosa di sbagliato sta accadendo e qualcosa di giusto sta soccombendo, nel nostro rapporto con l’ambiente, per me è indubbio: e lo sento con una forza che ha dell’irrazionale. Così come nel ’900 era chiaro chi fossero gli sfruttatori e gli sfruttati».

Rispetto a questa generazione che scende in piazza, la sua è stata più timida, si è ritratta ?

«Mi piace l’idea di essere e restare un soggetto politico anche in mezzo ai boschi. Non è un ritirarsi dal mondo. Il mio libro in Italia è stato letto da 800 mila persone: pochissime vivono in montagna, ma hanno comunque ascoltato una voce che dalla montagna arrivava e hanno permesso che seminasse dubbi, sfide, domande».

Che dice della sua generazione?

«I quarantenni, pur smarrendosi, non si sono identificati con la media, la massa, la maggioranza: hanno cercato e cercano, a loro modo protestano, e lo fanno vivendo vite anticonformiste. Anche se il potere non li vede, non li ascolta e li irride, così come non vede e non ascolta e irride i ragazzi che combattono per il futuro del pianeta».

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