La Pro Civitate Christiana – Laboratorio di fede e di futuro ha l'obiettivo di offrire accoglienza e opportunità, linfa e respiro, missione e servizio: vi invitiamo perciò a rimanere aggiornati sulle iniziative che proponiamo, attaverso il sito e le pagine facebook e twitter.
Tutto cambia al mondo.
Noi assistiamo a trasformazioni di anime, di popoli e di religioni impensabili.
Bisogna che noi prepariamo più che opere, ponti;
più che prediche, dialoghi;
più che ricordi, nuove visioni di un avvenire di libertà, di pace, di giustizia.
don Giovanni Rossi
fondatore della Pro Civitate Christiana
Per quelli ke perdonano per lo tuo amore
Abbiamo chiesto a Marco Tarquinio di aiutarci a riflettere sul Cantico di Frate Sole affidandogli questo versetto.
Il 2 gennaio, su Avvenire, è stato pubblicato il suo intervento, che ha chiuso le giornate dedicate a Cittadella Laudato Si'
Parole precise, che non usano sotterfugi per chiedere a ciascuno di partire da sé.
Grazie a Marco Tarquinio e a tutti coloro che in questi giorni hanno condiviso con noi tempo e pensieri.
Con san Francesco, perdoniamo tutti (senza sostenerli) per l’amore di Dio
Si tratta di una sfida seria e vigorosa: significa includervi i russi che bombardano, Zelensky che arruola, i terroristi di Hamas, i politici israeliani, i mercanti di armi, i guardiani iraniani della morale, Bija e gli schiavisti libici..
Il versetto sul perdono del “Cantico delle creature”, al pari di quelli che immediatamente lo seguono e contribuiscono a illuminarlo, è tra gli ultimi composti da Francesco, non come aggiunta, ma come compimento di un testo della Lauda, che ha una struttura irregolare eppure armonica e che, infine, si sviluppa esattamente in 33 versetti: evidente e perfetto multiplo di Tre. Il Cantico è, insomma, deliberatamente trinitario. Con le parole tanto quanto con la sua struttura parla dell’Amore che è Dio richiamandone l’Azione onnipotente e il Mistero da cui quest’azione scaturisce: Dio è uno e trino, relazione d’amore in sé e con tutta l’opera della Parola creatrice, umanità compresa e specialmente (ma non esclusivamente) amata.
Questa premessa è necessaria per provare a ragionare sulla scelta di coloro che arrivano a “perdonare per il tuo amore”. Cioè “per amor di Dio”, come invocavano i nostri vecchi e le nostre vecchie e come ancora – quasi come un singhiozzo – sale alla labbra di molti di noi quando l’enormità della malvagità, della violenza, di «infirmitate et tribulatione» arriva a essere insopportabile. Prendiamo atto, per prima cosa, del fatto che Francesco proclama beati quelli che dànno un contenuto speciale al loro perdono, perché sostengono le prove a cui sono sottoposti restando «in pace», cioè non scendendo in guerra. Il Santo di Assisi loda Dio per loro. Essi perdonano non in forza della propria empatia, della propria razionalità, della propria generosità, ma perché hanno capito qualcosa – appena qualcosa – dell’amore infinito di Dio. Che è amore sovversivo, amore capace di scombinare i nostri schemi, di sconvolgere l’apparente solida logica del mondo e di scrivere diritto, direbbe madre Teresa di Calcutta, sulle righe storte dell’umano.
Perdonare per amore di Dio significa, come ci è stato rivelato [Mt 5, 44], amare e perdonare i nemici. Siamo così abituati a dirlo che sembra una cosa facile e da anime semplici e belle, che probabilmente vivono su una nuvo-letta distante dalla dura realtà e possono essere tranquillamente tacciate di buonismo… No, non è affatto una cosa semplice e facile perdonare i nemici. È, anzi, un cammino arduo anche e soprattutto perché il modello di quest’azione al limite dell’inconcepibile è l’amore di Dio.
L’amore-perdono di Dio, infatti, è “gratuito” e invece il nostro invoca, cerca e pretende reciprocità. Chiede, almeno, un cenno di ripensamento o di pentimento. Per di più l’umiltà e la consapevolezza del nostro male e del nostro errore non sono così frequenti e diffusi. E questo spiega perché nel mondo, oggi, la modernità fa a pezzi l’armonia millenaria della casa comune e perché in essa si combattono, a diverso livello di intensità e con uguale ferocia assassina, addirittura 184 guerre (e nessuna guerra ha un solo responsabile e un solo protagonista, ci sono sempre vittime più vittime delle altre, ma bisogna essere almeno in due per continuare a scontrarsi).
Una ulteriore premessa mi sembra però, a questo punto, indispensabile: perdonare non è “dare ragione”, è fare i conti con il torto dell’altro. È assumere quel torto. È – come ci ha insegnato una volta per tutte Giovanni XXIII – riconoscere il peccato e non accanirsi sul peccatore. Anzi, averlo addirittura caro. Eppure, il perdono non è una melassa dove annegare di dolcezza e buoni sentimenti la sofferenza e i risentimenti. È una sfida vigorosa. È una prova seria, e porta ad assumere una postura interiore ed esteriore che è, infine, semplice, ma che dapprincipio risulta faticosa, sino al punto e che possiamo persino sentirla come innaturale.
Attenzione, ora, e perdonatemi se potete, perché da qui in avanti la metto giù dura. Perdonare secondo l’amore di Dio significa perdonare quelli che ti crocifiggono perché “non sanno quello che fanno”, ma anche perdonarli quando è evidente che carnefici e persecutori sanno sin troppo bene ciò che fanno.
Significa perdonare i russi che bombardano le case e le chiese ucraine e seminano la morte in un villaggio conquistato o perduto;
Significa perdonare i giudici che inquisiscono e condannano al carcere Alexandra “Sasha” Skochilenko, cantautrice russa, perché dice no alla guerra come il piccolo grande popolo dei “nastrini verdi” pacifisti e ha osato appendere i suoi bigliettini «disfattisti» al posto dei prezzi in un supermercato di San Pietroburgo.
Significa perdonare Zelensky e i suoi ministri che organizzano arruolamenti forzati nelle truppe ucraine da mandare al macello che ricordano quelli dei galeotti dei secoli passati e sono identici agli arruolamenti dei poveracci e dei manigoldi spediti al fronte da Putin.
Significa perdonare – pensateci! – i terroristi di Hamas che stuprano, ammazzano e rapiscono organizzando l’orrore contro gli inermi. E significa perdonare i politici e gli strateghi israeliani che pianificano non solo la cancellazione di Hamas, ma la totale distruzione di Gaza, con due milioni e più di esseri umani in trappola, cioè una vendetta totale.
Significa perdonare quelli che si astengono o tacciono o gridano la necessità della vittoria quando c’è da intimare a tutti il cessate il fuoco in una guerra senza quartiere tra i quartieri sventrati e depredati di Aleppo, o di una città yemenita o nel Corno d’Africa o oggi, appunto, nella Striscia di terra più famosa e derelitta.
Significa perdonare gli americani che rifiutano di firmare (come alcuni altri: russi e ucraini tra questi) il Trattato contro le cluster bombs, le famigerate bombe a grappolo. E le costruiscono e le usano e riforniscono in continuazione sé stessi e i propri alleati di questi terribili strumenti di morte.
Significa perdonare – senza dar loro ragione, ripeto! – i produttori e mercanti d’armi che appestano il mondo degli uomini e avvelenano l’opera di Dio, cioè tutto il Creato, con strumenti di distruzione e di morte sempre più sofisticati e terribili.
Significa perdonare i golpisti di Niamey appoggiati dai mercenari russi della Wagner e il regime che prima del golpe aveva governato il Niger accettando di trasformarlo, poco a poco, nella frontiera esternalizzata dell’Unione Europea (Italia compresa) per incatenare la speranza di molte persone povere, migranti dall’Africa subsahariana.
Significa perdonare i guardiani delle morale iraniani e i loro mandanti che intimidiscono e picchiano le donne del loro Paese e le arrestano e persino le ammazzano perché mostrano i capelli e il viso e la loro dignità tutta intera.
Significa perdonare i signori della guerra e i padroni dei giacimenti di terre rare in Congo, che muovono eserciti e armano milizie e macellano inermi e trasformano persino i bambini in assassini.
Significa perdonare Bija e quelli come lui, che in Libia vestono la divisa sopra gli artigli dei torturatori e degli schiavisti (pensiamo ormai troppo agli scafisti nel nostro pezzo di mondo e troppo poco agli schiavisti) e che assieme ai loro capi – i governanti, i generali, i cosiddetti “sindaci” – incarcerano, depredano e mandano a morire nel Mediterraneo l’umanità in cammino che da Est e da Sud arriva in Nord Africa guardando all’Europa.
Significa perdonare i generali birmani. Significa perdonare il presidente-dittatore del Nicaragua, Ortega, che ascolta l’ultima moglie ma non il suo popolo. Significa perdonare Biden e Xi Jinping, Trump e Maduro, Milei e Mbs, il principe saudita che paga politici stranieri, fa ammazzare giornalisti e vince la gara per l’Expo universale. Significa perdonare gli evasori fiscali e persino i mafiosi. Significa perdonare quelli che depredano, arroventano e intossicano in tanti modi la «casa comune».
Ripeto: perdonare non è “dar ragione”. E insisto: perdonare è non buttar via nessuno. Ecco che cosa ci si ritrova a pensare quando ci si sforza di immaginare che cosa significa “perdonare come perdona Dio”. E se qualcuno ha ancora dubbi lo aiuterà di certo rileggere la parabola del figliol prodigo. (I dubbi resteranno, la limpida forza dell’amore che perdona pure).
Non c’è nessun nemico che non possa essere perdonato. Così come non c’è nessun colpevole che non possa essere liberato e tornare cittadino tra i cittadini. Non c’è nessuno “cattivo” che non possa sedere al tavolo di un negoziato di pace. Non c’è nessuno che meriti soltanto guerra. Perdonare con amore figlio di quello di Dio – viene anche da dire con un amore fratello minore di quello di Dio, proprio come Francesco e i suoi – significa anche perdonare noi stessi. Soprattutto quando facciamo fatica a perdonare quelli che non perdonano e non ci perdonano, che c’infliggono solitudini, e sfruttamenti, e avvelenamenti, e bandi di arruolamento e manipolazioni dell’informazione e dell’umano...
Perdonarli non per dare loro ragione – non finirò mai di sottolinearlo –, non per fare loro sconti (a che titolo poi potremmo farne?), non per acconsentire al perpetuarsi delle ingiustizie, ma per non rassegnarsi al male compiuto e alla logica che porta a rispondere al male con il male... Perdonare come perdona Dio significa credere che infine la Sua misericordia sarà così grande che l’inferno resterà vuoto. E anche aver chiaro che Cristo non scherza quando ci dice e ci ripete del «pianto e stridor di denti» (Mt 13,42) e del terribile esilio dall’amore che letteralmente esplode in chi non riconosce la Parola che si è fatta carne, e carne dei poveri.
L’inferno comincia sulla terra, quando non vediamo e non amiamo Lui nell’uomo e nella donna più fragili, nella vita più indifesa. E la sostanza non cambia se chiamiamo quell’inferno un paradiso dove regnano legge e ordine. Dove vedere e riconoscere Cristo? Non è mai inutile ricordarlo: in chi ha fame e sete (e lasciamo che patisca e muoia); in chi è spogliato e nudo (e lasciamo che tremi e perda dignità); in chi è malato (tutti possiamo essere curati e rispettati anche se non siamo tutti guaribili, E la libertà non è nel far morire, ma nel non abbandonare); in chi è carcerato (e sente gridare di gettar via la chiave); in chi è straniero e diverso (e si vede chiudere le porte in faccia).
« Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore» e sanno rinunciare alla violenza e alla sopraffazione, all’idea di una vendetta che si traveste da giustizia e continua a diventare guerra. Laudato si’, mi ‘Signore, per quelli che hanno capito che gli eroi sono solo coloro che non ammazzano. Né con le armi né, come insegna papa Francesco, con il profitto ingiusto dell’«economia che uccide». Laudato si’, mi Signore, per quelli che vedono chiaro e conoscono la via e la forza del perdono, ma non lasciano in pace quelli che non vogliono la pace.
Una donna coraggiosa che vedeva chiaro e scriveva chiaro con fedeltà e senz’odio, sino a morirne, è stata Anna Politkovskaja, la grande e libera giornalista assassinata nella Russia di Putin. Per questo è un libro, rivelatore e potente, che è stato pubblicato grazie ai familiari di Anna Politkovskaja e ai colleghi di “Novaja Gazeta” e raccoglie i reportage e le idee forti, disarmate e disarmati che le sono costate la vita. Ne cito le righe finali, che lei stessa definisce «Ultimo appunto. Sull’amore»: «Nel XXI secolo le persone intelligenti non costringono i propri concittadini a un bagno di sangue. È quando non si vuole bene alla propria gente che cominciano le disgrazie. Peccato che, come sempre, il potere sia in mano ai mediocri, mediocri cronici». Costoro, credetemi, è davvero difficile perdonarli.
E ppur si deve. Insieme, senza lasciare che quei «potenti mediocri cronici» continuino a insanguinare la storia che possiamo e dobbiamo fare diversa. Insieme, ognuno con la sua speciale responsabilità, sapendo a quale amore guardare.
Marco Tarquinio , Avvenire 2 gennaio 2024