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LITURGIA PENITENZIALE DI RIPARAZIONE

Introduzione

Può capitare che, di fronte a situazioni di sofferenza, morte, disagio di fratelli e sorelle in guerra, su una nave, sotto le macerie di case e di miseria, proviamo automaticamente compassione, ci chiediamo dove sia Dio, lo preghiamo di intervenire, individuiamo i responsabili che giudichiamo e, a volte, condanniamo. C’è una sorta di meccanismo di autoassoluzione rispetto alle scelte che ciascuno di noi fa ogni giorno e che, a ben vedere, sono legate a quelle sofferenze. Che c’entro io con il pianto di una madre o un padre che ha perso suo figlio nel tentativo di trovare una via e una vita migliore? Che c’entro io con giovani, bambini, anziani che soffrono il freddo, la fame, la paura in tutti i conflitti del mondo? Che c’entro io con la sofferenza e il disagio di un adolescente che si sente solo, abbandonato? Che c’entro io… ricorda molto quel “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?” (Mt. 25, 31-46).

Proprio questa parola di Gesù ci mette dinnanzi ad una dimensione del peccato con cui non siamo abituati a fare i conti. Il diritto (anche ecclesiastico) ci offre soltanto la possibilità di scorgere delle responsabilità individuali dinanzi ad un reato; la colpa è sempre individuale – per il diritto è giusto e necessario che sia così – ma capita che alcune colpe, alcuni peccati, siano frutto di una comunità, che, seppure a titolo diverso a livello individuale, tuttavia compie quel peccato come un corpo unico. In sintesi, c’è anche una dimensione comunitaria del peccato, non come somma dei singoli peccati, ma come azione compiuta in solido.

La “forza del noi”, in questo caso, diventa il “male del noi”. Un male che coinvolge tutti, che lacera, disgrega “diabolicamente”, divide l’essere umano dall’essere umano, l’essere umano da Dio.

Occorre recuperare, pertanto, una dimensione comunitaria della penitenza. Non si intende affatto parlare qui di forme di assoluzione comunitaria, qui si propone un percorso di conversione comunitaria, che aiuti a convertire il corpo (ecclesiale, ma anche – perché no? – per simpatia corpo sociale, politico, economico…) come tutto, e non soltanto come somma dei singoli.

Non è una riflessione nuova per la tradizione ebraico-cristiana, la Bibbia è piena di preghiere penitenziali alla prima persona plurale: il “noi abbiamo peccato” riecheggia spesso nel testo biblico.

Questa liturgia penitenziale vuole essere un’occasione per prendere di coscienza della nostra responsabilità, del nostro peccato; è un tentativo di riascoltare le parole del Maestro che ci indica, ancora una volta, che Lui è in quella mamma, in quel bambino, in quell’uomo, in tutte le situazioni di margine, sofferenza, disagio, povertà, diversità. Consapevolezza che orienti il nostro cuore a chiedere perdono ai fratelli e alle sorelle che non abbiamo visto e a chiedere a Dio il coraggio di riparare le ingiustizie di cui, come comunità sociale, politica ed ecclesiale, siamo autori e la grazia di riparare il nostro e il loro cuore.

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