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Abstracts degli interventi

Giovanni Grossi, direttore di Cittadella Formazione: Introduzione e presentazione del tema della giornata.
La problematica dell’identità è stata una questione su cui si sono imbattuti e si imbattono filosofi, psicologi, sociologi. È il tentativo di comprendere un po’ meglio chi siamo e come si intreccia il nostro vissuto personale rispetto a una dimensione collettiva. Quindi concerne la società, la cultura di riferimento, ma anche la famiglia e le varie organizzazioni gruppali. Molti i punti di vista da cui è possibile affrontare questo discorso: identità e differenza; la relazione come costitutiva dell'identità; l’io, l'altro, il diverso. Senza l’altro l’io non sarebbe: per questa ragione l’io dovrà imparare a dialogare con l’altro, giacché dialogando con l'altro, e solo dialogando con l'altro, l’io troverà un’armonia con se stesso.

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Tullio Seppilli, antropologo: L’identità e le sue “facce”: uno sguardo antropologico.
Si cercherà di definire la “personalità” come un complesso psichico strutturato dalla sua natura biologica e dalle esperienze individuali e collettive via via effettuate in un contesto storico determinato. Sullo sfondo: la complessa questione del rapporto fra bio e socio. La tematica delle “facce” parziali e guidate della personalità nei rapporti con le singole persone, e il rapporto con i propri ruoli. Il concetto demartiniano (Ernesto de Martino, 1908-1965) di “presenza”, il rischio della perdita “della perdita della presenza” e i modi culturali di farvi fronte. Il significato rassicurante dei processi di “appaesamento” e rischi dell’estraneità culturale.

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Roberto Segatori, sociologo della politica: Dentro e oltre le identità storiche.
L’identità è una delle principali chiavi della riconoscibilità sociale. Come le sue componenti (il nome, la lingua, la religione, una cultura particolare), l’identità è una costruzione convenzionale. Tuttavia di essa non si può fare a meno. Nella vita quotidiana nessun individuo può andare in giro nudo. L’identità (sociale, nazionale, politica) è come l’abito che ci fa stare a nostro agio e con cui ci mostriamo preferibilmente in pubblico. Ma l’identità diventa un problema quando è troppo rigida o troppo debole. Nel primo caso - sia pure fondata su legittime rivendicazioni nazionali o politiche (si pensi ai recenti conflitti balcanici e caucasici o al socialismo - essa si alimenta di contrapposizioni (noi/gli altri, amici/nemici) che non favoriscono l’assunzione di atteggiamenti universalistici. Nel secondo caso (l’Europa occidentale di oggi), c’è il rischio della perdita di senso civico ed etico. Solo il riferimento ai suoi presupposti di base – il riconoscimento sociale universale e quindi la reciprocità – permette di vivere l’identità in modo aperto e dinamico.

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Paola Falteri, antropologa: L’identità culturale è una costruzione sociale ovvero Il genere non è neutro.
Il concetto di ‘genere’ indica la costruzione sociale del maschile e femminile, contro ogni riduzionismo biologico, secondo cui sarebbe il ‘sesso’ – al di fuori della storia e della cultura di riferimento – a determinare l’appartenenza all’uno o all’altro. Già nell’antropologia classica c’erano stati precedenti nella direzione di quel che si sarebbe chiamato genere, ma il suo affermarsi ha ampliato e mutato – come nelle altre scienze umane e sociali – terreni e metodi di ricerca. Di recente è tuttavia emersa una opposizione intorno ad eventuali interventi della scuola su questi temi, che non si può ignorare.

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Stefano Ciccone, filosofo e scrittore: La riflessione critica sul maschile alla prova dell’identità.
La riflessione critica sulla costruzione sociale dell’identità maschile giunge in ritardo rispetto al femminismo e al movimento LGBT. Un ritardo che deriva da una evidente specificità: corrispondere alla norma di riferimento con il

conseguente rischio di perdere la distinzione tra la propria parzialità e la norma e di non vedere, associato al proprio potere e privilegio, i vincoli imposti alla propria libertà. Anche il maschile è un genere costruito socialmente e questa costruzione disciplina i corpi, i desideri e le relazioni degli uomini. Ma esiste un’autenticità a cui fare riferimento? Proprio la particolare esperienza e condizione maschile ci costringe a riflettere su un’idea di identità e differenza non astratta e fuori dalla storia ma relazionale. La ricerca della “fedeltà a noi stessi” deve misurarsi continuamente con il riconoscimento della colonizzazione dei nostri desideri e della radice relazionale della nostra identità.

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Elisabetta Rossi, psichiatra: L'ossessione dell'identità: ponte o barriera?
‘Identità’ è una parola molto presente, nel linguaggio politico, giornalistico, e di conseguenza nel linguaggio comune. Emergono, con più forza che nel recente passato, partigiani di identità politiche, religiose, etniche, cittadine, “solide”, intanto che altri soggetti vanno a declinare espressioni identitarie “liquide”, che vogliono inclusive ed aperte. Nella vita psichica sappiamo che l’identità concepita come una sostanza permanente e statica viene sostituita, nella rappresentazione che ne dà la rivoluzione psicoanalitica, da una sintesi, sincronica e diacronica, tra diverse istanze. Tale modello del costrutto identitario è ancora attuale per indicare percorsi di salute per gli individui, e per i gruppi sociali?

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Marco Gallizioli, docente di Antropologia delle religioni: Identità vs identificazione: la questione della differenza nei mondi religiosi contemporanei.
L’intervento intende mettere a tema la differenziazione tra i termini “identità” e “identificazione” secondo il pensiero di R. Panikkar, per sottolineare i confini della questione identitaria che attanaglia i mondi religiosi contemporanei. Si cercherà, quindi, di sottolineare come esista una forma di ossessione identitaria, che pervade il tessuto profondo delle culture religiose occidentali, non adeguatamente perlustrata e responsabile di forme più o meno larvate di diffidenza reciproca. Si passerà, poi, ad illustrare alcuni aspetti del pensiero della differenza, proposti da autori quali A. Oz, D. Grossman, Adonis, A. Maalouf, E. Morin e U. Beck.

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Tonio Dell’Olio, volontario Pro Civitate Christiana: Gesù di Nazareth identità eretica.
La figura di Gesù di Nazareth continua a intrigare credenti e non credenti. Quale identità emerge dalla sua prassi che fu giudicata eretica dai capi religiosi del suo tempo e della religione cui apparteneva? Ma soprattutto, coloro che oggi si dicono cristiani quale identità incarnano? I vangeli sono soprattutto storie di incontri da cui emerge un’identità cristiana tutt’altro che chiusa ed escludente (o esclusiva) e che può sorprenderci ancora oggi fino a suggerirci come camminare liberi verso l’altro e l’altra senza temere di perdersi oppure proprio... perdendosi.

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Sauro Rossi, sindacalista: Ri-comporre lo specchio. Identità e lavoro nell’era della new normal.
Nell’epoca post-industriale lo specchio identitario che ai tempi del fordismo ridava, della dimensione lavorativa, un’immagine nitida e decisa, si era già incrinato. La recente crisi l’ha ulteriormente frantumato, rendendo spesso le persone irriconoscibili a se stesse. Sostenere chi è in difficoltà, ri-cucire rapporti, ri-tessere relazioni, ri-generare legami, ri-allacciare reti, serve a ri-comporlo e a ri-definire identità nei difficili tempi della new normal.

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Giuseppe Moscati, filosofo: E se fosse l’identità a cercare noi? Alcune ipotesi della filosofia contemporanea.
«Nel respirare la prima cosa non può non essere che l’inspirazione, soffio che poi si trasmette in un sospiro, in quanto in ogni espirazione qualcosa di quel primo fiato ricevuto rimane ad alimentare il fuoco sottile da esso acceso. E [...] il respirare si regola sul proprio ritmo, uno degli innumerevoli ritmi che formano la sfera dell’essere vivente. [...] [All’essere vivente] toccherà sforzarsi per respirare oppresso dall’eccessiva densità di ciò che lo circonda, quella del suo proprio sentire, quella del suo proprio pensiero, quella del suo sogno che sgorga senza posa avvolgendolo». Così María Zambrano nel suo Claros del bosque del 1977. E se provassimo a pensare l’identità come quel respirare secondo un proprio ritmo, uno degli innumerevoli ritmi che formano la sfera dell’essere vivente?

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Paola Moriconi, psicologa-psicoterapeuta: Né prede né proprietà: violenza di genere e identità.
Le varie forme di violenza – fisica, psicologica, economica, stalking, stupro, femminicidio – non sono una questione di relazione tra vittima e carnefice. C’è un continuum che lega lo stupro di massa in contesti di guerra alla violenza di genere in tempo di pace. La violenza contro le donne, in ogni luogo e in ogni tempo, è da sempre una strategia di potere per il controllo e la sopraffazione dell’alterità femminile in contesti culturali maschilisti e patriarcali. Le donne “vittime” della violenza maschile provano confusione, vergogna, colpa, paura, perdita d’identità. Spesso vengono
emarginate, ritenute deboli o addirittura complici delle violenze e scelgono il silenzio. È necessario invece riconoscere e dare spazio alle identità diverse, per genere, per provenienza, per etnia, superando quelle leggi esplicite ed implicite che negano alle donne, come ad altri soggetti, identità, individualità, desideri.

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Elisabetta Melandri, presidente CIES onlus - Dina Giuseppetti, coord. MaTeMù, CIES onlus - Daniela Bico, project manager CIES onlus:

... Solo se sognati. Adolescenti venuti da lontano.
L’intervento partirà dall’esperienza “sul campo” del Centro di Aggregazione Giovanile MaTeMù, gestito a Roma dal CIES, per parlare di ragazzi provenienti da ogni parte de mondo, con le loro identità in costruzione. Si parlerà di seconde generazioni e di minori non accompagnati, attraverso le storie che arrivano ogni giorno a MaTeMù e attraverso le parole e le immagini usate dai ragazzi stessi per definirsi. Sono ragazzi che qui ogni giorno fanno i conti con il passato, con legami perduti, con le difficoltà di integrazione, con i mille futuri possibili che tutti i giovani hanno comunque davanti, se gli adulti sono in grado di costruire una comunità educante, capace di sognarli come ancora non sono. “Ciascuno cresce solo se sognato”, diceva Danilo Dolci.

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Il mediatore interculturale: ruolo nei processi di integrazione e nell’esperienza identitaria.

Chi è il mediatore interculturale? E quale ruolo ha? La questione identitaria nel processo di integrazione, è incentrata sul “riconoscimento” delle parti all’interno di un percorso bi-direzionale che vede impegnati immigrati e autoctoni in una incessante costruzione e ri-costruzione di relazioni e significati. Il discorso “terzo” che può nascere dalla relazione interculturale è supportato dal mediatore interculturale, figura nata sul “campo”, in risposta a esigenze sociali di accoglienza e di accesso ai servizi. Spesso definita come “cerniera” o “ponte”, questa figura esprime tutte le sue potenzialità solo laddove sia chiaro chi è e quale è il suo ruolo.

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Andrea Bramucci, psicologo-psicoterapeuta: Identità con altra specificazione: le forme del “nuovo” Io.
Prendendo a prestito dal DSM 5 la definizione “con altra specificazione”, si esplora l’attuale dimensione dell’identità nella società occidentale post-capitalistica. L’identità del soggetto, per considerarsi una dimensione riconoscibile per sé e per gli altri, “deve” necessariamente ricorrere ad altre specificazioni attraverso aggettivazioni e oggettivazioni. Il soggetto stretto tra il desiderio di “sentirsi speciale” e il bisogno di “essere riconosciuto” oscilla continuamente tra questi due poli e l’identità sembra assumere la connotazione di una parodia di se stessa... Ci sono altre possibilità?

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Rosella De Leonibus, psicologa-psicoterapeuta: Dallo specchio allo schermo, intimità ed estimità. L’identità al tempo dei social network.
Tra fantasie di onnipotenza e quotidiane rassegnazioni, tra un sé sovraesposto e un sé prigioniero, tra ciò che mi piace e ciò che di me piace agli altri, tra persona e personaggio, si gioca l’identità come spazio del possibile e dell’impossibile. Lo specchio, fondamentale per la costruzione dell’identità, è sostituito oggi dallo schermo, documento elettronico della nostra identità mediatica, finestra aperta allo sguardo altrui. Come lo specchio, anche lo schermo è sempre un po’ magico, mi dice chi sono e mi avverte di cosa accadrà, mi permette di vedere il passato e l’altrove, mi fa vedere e mostra anche ciò che non vorrei vedere o non vorrei mostrare. Ma, come lo specchio, anche lo schermo mi permette di scoprire, attraverso il feedback esterno, questo “altro” che sono io stesso.

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