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Storie di un incontro Pasolini in Cittadella.png

È possibile visitare l'itinerario espositivo fino al 31 dicembre 2022

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Per prenotazioni e informazioni

tel.: 075813231.

Ingresso  libero.

Storie di un incontro

Pasolini
in
Cittadella

Lo spazio espositivo dedicato dalla Pro Civitate Christiana a Pier Paolo Pasolini non è una mostra. Non è una pura esposizione di immagini o simboli che hanno segnato un passaggio.

Abbiamo voluto ripercorrere (e non simulare) lo stesso percorso di Pasolini all'interno di uno spazio che, da un certo momento in poi, egli concepì come laboratorio, come bottega d'artigiano, in cui cimentarsi con l'impresa improba di raccontare il suo Gesù agli altri.

Per la verità ci sono moltissime testimonianze, documentali e personali, che raccontano del prosieguo di quella frequentazione ben oltre la stessa lavorazione de Il Vangelo secondo Matteo.

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Per quanto ci riguarda vorremmo fermarci a questo periodo in cui si confrontò con le opere d'arte esposte nella Galleria d'Arte contemporanea, con i testi conservati nella Biblioteca che contiene un cospicuo numero di libri su Gesù, ovvero di Cristologia, con le raffigurazioni del Cristo contenute in una prestigiosa raccolta di varie migliaia di fotografie sulle arti figurative dal tempo delle catacombe a oggi in tutti i paesi, e con le musiche (i dischi) della Fonoteca.

Suo luogo preferito pertanto, nonché quello da lui più frequentato, non fu la hall dell'ospitalità o l'auditorio dei convegni, quanto lo spazio che don Giovanni Rossi concepì e realizzò come "Osservatorio cristiano", ovvero punto privilegiato e sublime di osservazione sulla realtà e sul mistero del Cristo.

Per questa ragione il filo conduttore è una riproduzione a misura reale di Pier Paolo Pasolini che idealmente continua a varcare la soglia di quest'area e di questo edificio e prosegue nella sua ricerca per dare un volto, un significato, una luce alla realizzazione di quell'opera che non aveva altra ragione che dire l'uomo all'uomo attraverso la rivelazione del sacro come "altro da sé" e come "non altro da sé" perché si ritrova dentro ogni uomo.

Il proiettore cinematografico è stato il punto finale, e insieme iniziale, della storia dell’incontro tra don Giovanni Rossi, Pier Paolo Pasolini e i Volontari della Pro Civitate Christiana.

 

E, il percorso di questi incontri, avvenuti in diversi momenti, è qui presentato: come nelle vecchie pellicole ci sono dei fotogrammi che saltano perché, in ogni storia, ci sono momenti, emozioni, sentimenti che si possono raccontare ma non è possibile imprimerli sulla pellicola così come avvennero.

 

A chi guarda il compito di unire gli spazi.

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Pier Paolo Pasolini tornò in Cittadella in diverse occasioni, portando in dono le pellicole dei film che andava realizzando; trovò qui, quando stava lavorando al suo Vangelo, un ambiente in cui poter fare ricerca, e delle persone che non utilizzarono il pregiudizio per dividere il mondo.

 

Lo scambio con alcuni Volontari e poi con lo stesso don Giovanni Rossi è documentato nelle lettere conservate oggi nel Fondo Pier Paolo Pasolini a Firenze al Gabinetto Vieusseux.

Abbiamo scelto di riprodurre la lettera che egli scrisse dopo il Natale del 1964, perché senza infingimenti Pasolini si mette a nudo affidandosi e fidandosi.

 

Sono queste le parole che bisogna seguire per ripercorrere quell’itinerario, quelle storie che non possono essere ridotte ad un unico incontro.

 

La sceneggiatura che Pasolini scrisse confrontandosi con don Andrea Carraro, le note di quest’ultimo, che si mise accanto al grande regista con lo spirito di servizio e competenza biblica, non sono solo un documento ma l’esito di un incontro fattosi cammino e ricerca.

Abbiamo scelto di proiettare quelle pagine su una tovaglia d’altare, perché, allora come oggi, crediamo che anche la pellicola contribuisce a celebrare il sacro di Dio, degli uomini e della terra.

 

Ciascuno può scegliere ogni volta, dinanzi ad un’opera d’arte, film, poesia, fotografia, di entrarci dentro in mille modi diversi.

Noi abbiamo voluto farvi attraversare Il Vangelo secondo Matteo, non solo mostrandovi il film, ma invitandovi a passarci dentro.

 

Il proiettore posizionato in cima alle scale proietta quella storia, che Pasolini realizzò credendo che potesse essere la storia di ciascuno. 

Tutto ebbe inizio da un piccolo libro, da un Vangelo, su un comodino.

La sua sensibilità e formazione artistica, nutrita dall’incontro e dall’insegnamenti di Roberto Longhi, gli permisero di fare tesoro della raccolta iconografica conservata nell’Osservatorio.

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Qui avvenne anche l’incontro con il Miserere di Rouault, artista che con Pasolini forse aveva in comune molto più di quanto fino ad oggi è stato indagato.

Scriveva, infatti, così Maurice Morel, prete e pittore francese, agli inizi degli anni ’60 dell’opera realizzata da Georges Rouault:

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“[…] È la condizione morale dell’uomo il soggetto della sua pittura. Forse mai è stata denunciata in modo più violento nell’arte plastica la deformazione, la bruttezza fisica alla quale la miseria interiore dell’uomo può portare.

Nessuna classe sociale sfugge a questo scandalo dell’avvilimento dell’uomo.

Come Dostoevskij aveva riscoperto il Cristo del Vangelo (che le icone del tempo gli nascondevano), al bagno penale, si può dire che Rouault riscoprirà il Cristo frugando i bassifondi, lo riscoprirà negli umili e negli infelici. Ma il Cristo che si sprigiona e che sorge all’improvviso tra le prostitute, i clown, i borghesi che compongono il mondo di Rouault, è il Messia d’Isaia, più che il Cristo del Vangelo… Da questa violenza egli doveva poco a poco risalire a un’arte via via più calma in cui la materia diviene sempre più densa e ricca, in cui il colore guadagna in chiarezza fino ad eliminare il chiaro-scuro per un colore puro. Dal Messia d’Isaia Rouault passa al Cristo del Vangelo fino a giungere alla Maestà del Cristo romanico… Rouault identifica il Cristo con gli oppressi, con i quali ha tanto profondamente comunicato, e ridona così un vigore nuovo alla figurazione del Cristo Re o del Sacro Cuore negli ultimi Crocefissi che egli dipinge… Se il paesaggio umano sembra imbrattato dalla nostra miseria, alla fine anch’esso, come negli impressionisti, è glorioso.

È il mondo di San Francesco che alla fine ci è ridonato dalla più spontanea e profonda compassione che artista possa mai donare al Cristo.”

 

Abbiamo selezionato alcuni fotogrammi del Vangelo di Pasolini, scegliendo i volti.

Con Lèvinas impareremo a guardare il volto dell’altro, una strada che Pasolini aveva già iniziato a percorre.

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[..] ora, ho bisogno dell’aiuto vostro: di Don Giovanni, Suo, dei suoi colleghi. Un appoggio tecnico, filologico, ma anche un appoggio ideale. Le chiederei insomma (e, attraverso lei, con cui ho maggiore confidenza - alla «Pro Civitate Christiana» - ) di aiutarmi nel lavoro di preparazione del film, prima, e poi di assistermi durante la regia.

La mia idea è questa: seguire punto per punto il «Vangelo secondo San Matteo», senza farne una sceneggiatura o una riduzione. Tradurlo fedelmente in immagine, seguendone senza una omissione o un’aggiunta il racconto.  

 

Così in una lettera indirizzata a Lucio Settimio Caruso, Volontario, responsabile del Settore Cinema della Pro Civitate, scriveva Pasolini nel gennaio del ’63.

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